Pavia nel dominio visconteo: le magistrature cittadine e quelle “centrali”
Il 13 novembre 1359, dopo alterne vicende e un assedio durato più di tre anni, Pavia si arrendeva a Galeazzo II Visconti, ponendo definitivamente termine al periodo del Comune indipendente. Il territorio di Pavia diventava così una delle «province dei nuovi stati regionali», e la città il «capoluogo provinciale», al quale i signori concessero di mantenere «vaste competenze […] in materie amministrative, giurisdizionali, fiscali»1. Il dominio visconteo in quel periodo si caratterizza ancora come «un coordinamento di città»2, e all’interno di queste l’ordinamento comunale viene mantenuto, riservandosi però il signore la prerogativa di controllare o nominare direttamente le magistrature e gli offici di maggior rilievo.
Prendendo come quadro legislativo di riferimento gli statuti del 1393 analizziamo ora le principali magistrature cittadine nel periodo visconteo, che rimarranno quasi invariate fino all’età di Ludovico il Moro. La più importante è il podestà, già suprema magistratura in età comunale, ora rappresentate del dominus e giudice della città: scelto personalmente dai Visconti, prima di entrare in carica giurava, come tutti i magistrati, di essere fedele servitore di questi e di tutelarne gli interessi; amministrava la giustizia «a livello superiore […], controllava […] il funzionamento delle istituzioni cittadine e inviava le direttive centrali ai podestà del distretto. […] Era [inoltre] accompagnato nelle sue funzioni da tutta una serie di giudici». Nel 1371 vi erano, infatti, un vicario ad consilia, un giudice ad maleficia, il giudice delle gabelle e dei dazi del comune, l’ufficiale delle strade (poi giudice delle strade)3, due giudici ad iura reddenda, uno per la Lomellina e uno per l’Oltrepò, e un podestà de Campanea. Quest’ultimo, secondo Enrico Roveda, «doveva forse sovrintendere al funzionamento della giustizia in causa di naturale rurale» e doveva anche «amministrare la giustizia nella parte del distretto pavese propriamente detta “Campagna”»4. Questi giudici, collaterali al podestà e da esso scelti, compongono quella che gli statuti del 1393 definiscono la sua “familia”5.
Di nomina viscontea era anche il referendario. Questo funzionario, comparso in varie città del dominio visconteo verso il 1350, inizialmente vigilava sulla vita finanziaria dei Comuni soggetti, ma nell’età di Gian Galeazzo assunse «il compito di vero amministratore delle finanze locali per conto del signore», occupandosi in particolari casi di mettere all’incanto i dazi e di provvedere alla riscossione dei vari proventi. Per il caso specifico di Pavia, da alcune lettere del periodo 1399-1406 sappiamo che si occupava, a volte insieme al podestà, dell’incanto dei dazi dell’imbottatura e di imporre e riscuotere taglie: queste competenze derivavano dal fatto che la stessa persona ricopriva gli incarichi di referendario e di giudice dei dazi. Sempre a Pavia, per l’età sforzesca, Roveda cita un documento del 1471 dal quale si desume che il referendario si occupava ancora dell’incanto dei dazi, e in particolare di quelli della dogana, della scannatura e della mercanzia.
A vigilare su tutti questi “funzionari” vi era infine un vicario generale, che «sovrintendeva ai vari interessi che il signore di Milano aveva a Pavia».
Tornando alle vicende generali del dominio visconteo, un momento importante, che qui interessa soprattutto per le ricadute giurisdizionali che avrà sul territorio, fu l’investitura del 1395 con cui Venceslao, re dei Romani, confermò e legittimò il dominio di Gian Galeazzo Visconti su Milano, il cui territorio venne eretto in Ducato. Un diploma di poco successivo (13 ottobre 1396) estendeva il titolo ducale a tutti gli altri domini dei Visconti, mentre Pavia veniva eretta in contea, separata da Milano, assegnandole “omnis et singulis, sibique pertinentibus villis, oppidis, castris et terris, aquis, aquarumve decursibus, juribus, jurisdictionibus et regalibus”, e le terre di Voghera, Vigevano, Casale Monferrato e Valenza “et eorum territoriis”. In linea con il diploma, si farà riferimento al territorio di Pavia come contea fino al 1499, quando Pavia viene eretta in principato.
L’erezione in contea costituisce una netta cesura con il passato: prima del 1396 i titolari dei vari diritti giurisdizionali, privilegi e immunità nelle località del distretto avevano come punto di riferimento la città, che aveva loro concesso i privilegi anche quando i Visconti ne erano diventati signori. Infatti «il fondamento giuridico del loro potere era nel titolo di domini generales delle singole città, e, talora, di vicari imperiali»6. Dunque i signori, almeno fino all’investitura imperiale, nella maggior parte dei casi mantennero una certa continuità con l’ultima età comunale. Prima del 1395-1396 gli sporadici casi d’infeudazione si hanno comunque dove «il feudo aveva alle spalle una lunga tradizione», laddove i Visconti avevano possessi personali, oppure per feudum oblatum7.
I privilegi di Venceslao invece «procedevano ad un’amplissima translato iurium, che venne sempre intesa dai giuristi lombardi come l’indiscusso fondamento della capacità del duca di infeudare iura regalia»8. Da quel momento i Visconti poterono procedere ad una politica di concessioni feudali comprendenti il merum et mixtum imperium e “declassare” i signori dell’appennino (ad esempio i Malaspina) da feudatari imperiali a feudatari camerali, obbligandoli a «prestare giuramento di fedeltà e atto di sottomissione al duca in quanto rappresentante dell’imperatore»9. Le investiture feudali saranno in seguito ampiamente utilizzate per legittimare interessi consolidati di alcune famiglie; per ridurre l’influenza di signori disobbedienti tramite l’immissione di homines novi fedeli ai nuovi duchi di Milano; o anche, più cinicamente, per rimpinguare le casse dello stato, sempre in sofferenza, alienando entrate e giurisdizioni.
Alla morte di Giangaleazzo, avvenuta il 3 settembre 1402, gli successero i figli Giovanni Maria (con il titolo di duca di Milano), Filippo Maria (che ebbe Pavia con il titolo di conte) e Gabriele Maria, a cui vennero assegnate le varie parti del vasto dominio costruito dal padre. Poco dopo però interessi contrastanti, endogeni ed esogeni allo stato, sfociarono in un’aspra lotta che durò per circa un decennio: alla disgregazione iniziale del dominio seguì una lenta ricomposizione, inizialmente in veste personale per opera di Facino Cane, teoricamente condottiere al soldo di Giovanni Maria ma signore di fatto, e poi, alla morte di entrambi nel 1412, da Filippo Maria, che da quel momento governò ininterrottamente fino alla morte avvenuta nel 1447.
Dopo il lungo governo di quest’ultimo, morto senza eredi maschi, le contraddizioni del dominio sfociarono ancora una volta in una cruenta guerra civile: vi erano, sullo sfondo, la lotta per la successione al ducato e l’ambizione autonomistica di alcune città, tra cui Pavia, che tornò brevemente Comune indipendente. La cosiddetta Repubblica di San Siro ebbe però vita breve e si concluse con la consegna di Pavia a Francesco Sforza, allora condottiero della Repubblica ambrosiana, il 18 settembre del 1447. Successivamente lo Sforza mosse però in prima persona alla conquista del ducato10. La guerra durò ancora anni, fomentata dalle ambizioni espansionistiche degli stati confinanti: nel 1448 Venezia avrebbe voluto approfittare del generale disordine per conquistare Lodi e Piacenza, mentre nel contado di Pavia Ludovico duca di Savoia iniziò, a sua volta, una campagna militare, poi fallita, nel tentativo di impadronirsi delle terre occidentali dell’antico dominio visconteo.11
Dopo alterne vicende ebbe la meglio Francesco Sforza, divenuto duca di Milano nel 1450. Per quello che a noi interessa, verso la fine del conflitto restava ancora da sciogliere il nodo delle terre occupate dai Savoia nel contado pavese: da una lettera di Francesco Sforza del 10 febbraio 1454 sappiamo quali erano i luoghi ancora tenuti dai Savoia, e cioè «Valencia, Pizetum, Preda, Bassignana cum Rivarono, Burgum Bassignane, Frascarolum, Turris Berretarum, Bremide, Sanctus Angelus, Castrum Novetum, Palestrum, Cassina de Bossis, Conflencia, Villata apud Candiam»12
Grazie ai già citati elenchi delle località del distretto pavese a metà del Quattrocento possiamo farci un’idea dell’estensione del territorio di Pavia a metà secolo. Esso comprendeva un area di circa 2.612 km2 13, i cui luoghi di confine erano, partendo dal Ticino verso il Lambro: Besate, Casorate, Papiago, Soncino, Mellone, Villarasca, Baselica, Cascina maggiore, Giussago, Gualdrasco, Pontelungo, Misano, Ceranova, Marzano, Torre d’Arese, Villanterio, Inverno, Miradolo e Chignolo; da lì il confine scendeva verso il Po, seguendo il territorio di Monticelli piacentino14; in Oltrepò il distretto comprendeva Parpanese, e da lì il confine seguiva il torrente Bardonezza15 verso sud, fino a Pizzofreddo, e da lì fino a Ruino, comprendendo le località di Golferenzo, Volpara e Canevino; a sud i luoghi di confine erano Torre degli Alberi, Fortunago, Montepicco, Montesegale e Murisasco. Da quest’ultimo luogo il confine procedeva verso nord-ovest, da Nazzano fino a Valenza, passando per Voghera, Casei, Cornale, Gerola, Guazzora, Sale, Piovera, Rivarone, Pietra Marazzi, Pavone e Pecetto di Valenza. Dal punto di incontro tra il territorio di Valenza e il fiume Sesia il confine proseguiva verso nord, seguendo il corso d’acqua16 fino a Palestro, dove cominciava il territorio di Novara, e quindi ad est, comprendendo le località di Confienza, Robbio, Nicorvo, Albonese, Cilavegna, Gravellona e Vigevano. Da lì seguiva il Ticino verso sud-est lambendo il territorio di Gambolò e Borgo San Siro.
Questo vasto territorio, solcato dai fiumi Ticino e Po, oltre che da altri corsi d’acqua minori, e costituito quasi interamente da terre della pianura padana, confinava ad ovest con i domini dei Savoia e del marchese di Monferrato e i contadi di Tortona e Alessandria; a nord con i contadi di Vercelli, Novara e Milano; a est con il contado di Lodi; a sudest con il contado di Piacenza; a sud con le terre feudali dei Malaspina. Su quest’ultimo confine occorre però aprire una breve parentesi: negli “Statuta” del 1452 abbiamo un dato interessante, ossia che tra i contribuenti per il mantenimento delle strade del contado pavese compaiono anche i marchesati di Godiasco e Varzi, inseriti nella circoscrizione dell’Oltrepò. Le intrusioni dei Visconti nell’area appenninica non erano nuove, ed essi esercitavano la loro influenza sulle terre malaspiniane da tempo: basti ricordare, nel 1385, l’incameramento di una porzione del marchesato di Varzi, corrispondente al territorio di Menconico, e la sua successiva investitura feudale ai discendenti del legittimo proprietario17; il nuovo incameramento delle stesse possessioni da parte di Filippo Maria Visconti nel 1430; e la confisca dei possessi di Bartolomeo Malaspina di Godiasco nel 1423 (poi recuperati da questo nel 1433. Tuttavia vi è una differenza sostanziale tra l’esercizio di un’alta signoria su delle terre feudali e il loro inserimento in un distretto cittadino, e infatti nella documentazione antecedente non vi è alcun riscontro di una diretta contribuzione dei marchesati all’erario visconteo all’interno del distretto pavese, né per la manutenzione della strada da Voghera al porto di Sommo (1383)18, né per le varie taglie imposte dal duca tra gli ultimi decenni del Trecento e i primi del Quattrocento, né per quanto riguarda il pagamento della tassa dei cavalli nel 1443. Si potrebbe dunque pensare che quello del 1452 fosse un primo tentativo di sottoporre al distretto fiscale pavese delle terre dotate di ampia autonomia, il tutto nell’interesse della città. Il tentativo sembra sia riuscito, se nell’elenco per il pagamento della tassa dei cavalli del 1474 il dato è confermato, e così anche nel 1482 e nel 152419, nei documenti riguardanti l’estimo di Carlo V, dove sono aggiunte le terre vermesche dell’appennino (Romagnese, Zavattarello e Valverde), e nei secoli successivi.
Comunità, circoscrizioni e “compartiture”: inquadramento
Dopo questo quadro generale delle vicende della città di Pavia e del suo territorio sotto il dominio visconteo e sforzesco, nonché delle magistrature operanti sull’intero distretto, è opportuno analizzare un poco più da vicino le magistrature e gli offici che avevano un raggio di competenza più limitato, comprendente al massimo una trentina di comunità rurali20.
Queste comunità erano costituite materialmente dagli uomini che abitavano un insediamento, raccolto o sparso, sorto spesso presso un castrum21 e/o un luogo di culto, che poteva essere una chiesa o un semplice oratorio. A questa comunità umana corrispondeva un determinato territorio, articolato in possedimenti comuni a tutti gli abitanti (i Comunia) e privati (laici o ecclesiastici). All’interno di questo territorio vi erano varie località, che prendevano il nome da luoghi di culto, cascine, case o semplicemente da una caratteristica del paesaggio22. Nel territorio di una comunità poteva costruirsi un nuovo insediamento che, in poco tempo o in un lasso temporale più ampio, poteva diventare anch’esso una comunità con un proprio territorio. Questo processo ebbe una notevole diffusione23, specie tra i secc. XI e XIII. Purtroppo, almeno per quanto riguarda il distretto pavese, per questi secoli non disponiamo della normativa che regolava la creazione di nuove comunità. Abbiamo però alcuni esempi pratici, come la fondazione di Zerbolò (1259)24 o San Paolo presso Sartirana (1292)25. Dagli statuti del 1393 sappiamo invece che, ormai un secolo dopo, per formare una comunità erano necessari dieci capifamiglia abitanti in un qualsiasi locus, castrum o villa del territorio di Pavia26.
Per quanto riguarda la comunità come istituzione, questa era di norma retta da consoli, eletti in genere dall’assemblea dei capifamiglia. Tuttavia, dopo la conquista viscontea, in alcuni comuni si installarono rappresentanti del duca-conte, podestà rurali oppure vicari, e accanto ad essi poteva esserci anche un castellano, un capitano, ecc.27 Così in età viscontea i consoli progressivamente persero le loro prerogative di amministrazione locale, assumendo principalmente il compito di rappresentare gli interessi degli uomini del luogo di fronte al duca, anche in presenza di un feudatario o un signore locale.
Queste differenze nel governo trovano riscontro nella nomenclatura usata per definire le varie tipologie di località nei documenti consultati (riguardanti tutti l’area pavese), che in qualche caso ci danno delle indicazioni utili sugli officiali preposti a reggerle :
Locus: questo termine, molto generico, può indicare tanto il Comune rurale quanto una semplice località, cioè un piccolo insediamento o una cascina. La maggior parte dei Comuni rurali era governata dai soli consoli, ma in alcuni vi erano officiali ducali o cittadini (podestà, vicari, ecc.). Le semplici località erano invece sottoposte ad un Comune rurale, definito a sua volta locus o podesteria.
Podesteria / Potestaria: questo appellativo, non così generico come il precedente, indica una circoscrizione amministrativo-giudiziaria del contado, comprendente il luogo sede del podestà e altre località circostanti28.
Terra: comuni autonomi dalla città, o aventi un particolare status, come ad esempio la dipendenza diretta dal vescovo.
Villa: termine poco ricorrente nella documentazione consultata in questa sede, indica un villaggio o un piccolo insediamento non retto da propri officiali ma sottostante ad un altro abitato, cui risulta unito in alcuni documenti.
La seconda e la terza dicitura, che nei documenti trecenteschi indicano una situazione ben precisa, tendono a rarefarsi nel XV secolo, per far posto al più generico locus anche per indicare un comune sede di podestà rurale, mentre la parola terra assume un significato più ampio, stando ad indicare un abitato di una certa rilevanza.
Infine, le comunità si distinguevano secondo la loro condizione giurisdizionale: potevano essere infeudate, e quindi separate dal distretto cittadino, oppure, in caso contrario, possedute o meno da qualcuno vantante diritti signorili, laico o religioso (il vescovo, un monastero, ecc.). Vi è anche nel Quattrocento un cenno a comuni dipendenti dalla “camera ducale straordinaria”, che aveva «giurisdizione e sovraintendenza sulle terre già infeudate»29.
Le circoscrizioni a carattere territoriale
La rubrica XLVIII dello Statuta de Regimine Potestatis del 1393, intitolata De fideiussione prestanda per potestarias, ci dà un primo inquadramento legislativo sulle circoscrizioni territoriali del contado di Pavia. La disposizione, che contiene indicazioni riguardo la fideiussione che gli officiali del Comune di Pavia dovevano ricevere una volta l’anno, nel mese di gennaio, per la giustizia civile e penale, la gabella del sale, i vettovagliamenti e la manutenzione delle strade, contiene tra le righe importanti informazioni sulle circoscrizioni in cui era articolato il territorio:
– La Campagna, all’interno di tutte le sue “porzioni”, ovvero quella soprana, quella maggiore (o mezzana)30 e quella sottana, era divisa in squadre, rette ognuna da uno squadrerio;
– Il Siccomario costituiva una squadra a sè, ed era retta da uno squadrerio, detto anche Consul tocius Sicomarii
– L’Oltrepò e la Lomellina, non citati esplicitamente, e proprio per questo motivo, vanno inquadrati nel districtus, e quindi nell’ambito delle podesterie.
– Vi erano anche alcuni luoghi non sottoposti ad alcuna podesteria o squadra, e da alcune lettere del podestà del Comune di Pavia abbiamo conferma che anche queste comunità erano rette da consoli.
Questa divisione amministrativa per squadre e podesterie tra XIV e XV secolo, rilevata rapidamente già dal Soriga, ci è confermata dai già citati documenti riguardanti la riparazione e la manutenzione delle strade, dove, quando si tratta di inquadrare le comunità, si fa riferimento alle podesterie in Oltrepò e Lomellina e alle squadre nella Campagna. Escluse da queste circoscrizioni sono invece i luoghi facenti parte delle varie signorie ecclesiastiche e laiche, nonché dei possessi diretti ducali (tra questi vi era anche il famoso parco visconteo)31, distribuiti in tutto il distretto pavese e che nella Campagna vengono raggruppate a metà XV secolo sotto la dicitura “terre diverse”.
Così come per le magistrature e gli offici cittadini, anche nel contado i nuovi signori non sconvolsero l’assetto precedente, ma ne assunsero il controllo e lo integrarono con “nuovi” uffici frutto dell’esperienza milanese. Riguardo al primi punto: in una lettera di Galeazzo II indirizzata al comune di Pavia nel 1360, il signore si riserva il giudizio sulla valutazione dei cittadini candidati alla copertura dei vicariati e delle podesterie del distretto, affermando così il proprio controllo su tali incarichi32. Per il secondo punto invece è eloquente l’introduzione dei capitani territoriali33 e dei vicari34; questi ultimi, dei quali ci occuperemo in seguito, sembrano comparire soltanto nel XV sec. nell’area nord-orientale della Campagna (Belgioioso nel 1401, Settimo nel 1441, Chignolo e Villanterio nel 1452).
Per quanto riguarda invece il piano strettamente fiscale, la cui geografia non sempre coincide con quella giurisdizionale35, come vedremo in seguito la distrettuazione si diversifica a seconda dell’imposta interessata: tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento l’imposizione di taglie e l’appalto della riscossione dell’imbottato del vino sono modellati secondo la geografia amministrativa in squadre e podesterie; negli anni ’60 del XV secolo la riscossione dei dazi delle biade e del vino è articolata in varie squadre nell’Oltrepò e nella Lomellina, più una squadra della Campagna e una del Siccomario36; nel 1445 la ripartizione dei carichi della tassa dei cavalli è inquadrata in tre squadre, mentre dal 1474 la ripartizione degli stessi carichi riprende la geografia amministrativa, sostituendo le squadre del 1445 con compartiture, all’interno delle quali i luoghi sono organizzati in squadre, terre diverse e vicariati per la Campagna, e podesterie e singoli luoghi per l’Oltrepò e la Lomellina, oltre alle terre che pagano direttamente a Milano, presenti in tutto il distretto.