Storia dell'Oltrepò pavese

Feudi in Oltrepò pavese nel Quattrocento

di Gustavo Ferrara / pubblicato il 30 Ottobre 2016

Nota introduttiva

Questo articolo è un estratto della mia tesi di laurea intitolata “Per una Storia amministrativa del Contado pavese nei secc. XIV-XV”. Il seguente testo, che analizza le vicende dei feudi in Oltrepò pavese, è articolato in due parti: nella prima vengono introdotti alcuni concetti, si fa un quadro generale giuridico e politico e si citano alcune fonti; nella seconda è redatta una lista in ordine alfabetico (per “capoluogo” e non per feudatario) dei singoli feudi, terre separate e giurisdizioni ecclesiastiche, suddivise secondo le appena citate categorie.
Per la consultazione dei riferimenti bibliografici e archivistici completi si veda il testo completo della tesi di laurea.

Feudi camerali, giurisdizioni ecclesiastiche, terre separate

L’analisi delle terre non direttamente sottoposte ai Visconti e agli Sforza nel Quattrocento necessariamente deve comprendere una categoria più ampia di quella dei feudi. Nel complicato panorama amministrativo del Medioevo (e anche dell’età moderna), i feudi costituiscono solo una parte delle terre alienate dai signori. Per rendere più comprensibile ai lettori l’articolo che segue, presento di seguito un brevissimo glossario con il significato dei termini usati:

– Feudo camerale: è un feudo la cui investitura è fatta direttamente dal duca di Milano (e non dall’imperatore, come nei feudi imperiali), e che può comprendere entrate locali, la giurisdizione sugli abitanti dei luoghi interessati, o entrambi. In quest’ultimo caso spesso il feudo viene separato dalla contea di Pavia.

– Terra separata: è una Comunità separata dalla contea di Pavia o da qualsiasi altro distretto cittadino, ma non assegnata in feudo. La comunità di conseguenza si regola secondo le proprie consuetudini ed è sottoposta direttamente al duca.

– Signoria ecclesiastica: è un territorio nel quale la giurisdizione è esercitata da un ente ecclesiastico.

Quadro giuridico e panoramica delle investiture

In due investiture imperiali del 1395 e del 1396 Gian Galeazzo Visconti ottenne, dietro un sostanziale esborso, i titoli di duca di Milano e conte di Pavia. Le investiture imperiali, strumento fondamentale di legittimazione del potere nel Medioevo, diedero a lui e  ai suoi successori la facoltà di infeudare iura regalia, e dunque procedere ad una politica di concessioni feudali aventi la caratteristica del merum et mixtum imperium, ossia la giurisdizione sugli uomini di un determinato luogo o territorio.

Filippo Maria Visconti. [fonte: Wikipedia]

Filippo Maria Visconti.
[fonte: Wikipedia]

Di queste investiture feudali fece ampio utilizzo sin dall’inizio del suo governo il figlio e successore di Gian Galeazzo, Filippo Maria Visconti, che attraverso questo strumento dispose di molte terre della contea di Pavia, modificando o consolidando gli equilibri di potere a livello locale, favorendo o osteggiando potenti famiglie locali, personaggi in vista della corte milanese o condottieri.

Le investiture in un primo momento (1402-1413) sono principalmente a favore della famiglia Beccaria, che grazie a queste ottiene il controllo di svariate località, tra cui Voghera e Broni, ma in seguito ad una guerra (1413-1416) scoppiata tra il conte e l’appena nominata consorteria, avvengono una serie di incameramenti e confische a danno di questa, che comportano la contrazione dell’area feudale; vi sono anche, già durante la guerra, le prime infeudazioni a favore di uomini di fiducia del conte (in particolare il condottiero Francsco Bussone, detto il Carmagnola, che ottiene Casei). A partire dal 1418, salvo il recupero delle terre già tenute dal Carmagnola nel 1428, le infeudazioni rimangono costanti, e di regola ad ogni feudatario subentra il suo discendente o un altro nominato dal duca; vi è dunque fino al 1447, anno della morte di Filippo Maria, una crescita esponenziale nel numero delle terre infeudate, con il risultato che in quell’anno circa un terzo delle terre dell’Oltrepò sono occupate da feudi camerali.

Galeazzo Maria Sforza, ritratto del Pollaiolo. [fonte: Wikipedia]

Galeazzo Maria Sforza, ritratto del Pollaiolo.
[fonte: Wikipedia]

Nell’età di Francesco Sforza vi è un cambiamento di rotta rispetto al governo precedente, specie nei rapporti con le famiglie che avevano interessi consolidati nel territorio (come i Beccarla o i conti di Lomello), che erano state private da Filippo Maria di gran parte dei loro possedimenti e diritti. Prevalgono in tutto il periodo (1447-1466) le conferme di feudi già tenuti negli ultimi anni del governo precedente, ma vi sono anche alcuni casi di mantenimento sotto la Camera di località già infeudate (Broni, Casteggio), di inserimento di nuovi feudatari in feudi camerali (Mondondone con Montù, Pietra dei Beccaria) e di istituzione di nuovi feudi.

Gli anni di Galeazzo Maria videro una nuova, massiccia ondata di infeudazioni. Specialmente negli anni 1466-67, vi fu una grande operazione di alienazione di entrate e giurisdizioni nello Stato di Milano, in occasione della quale vennero venduti principalmente i dazi del pane, del vino e della carne e l’imbottato (vino, biade, legumi), mentre vennero escluse quelle riservate alla Camera, come la tassa del sale o dei cavalli, o i dazi della mercanzia e della ferrarezza. Alla vendita delle entrate seguiva in molti casi l’infeudazione per la giurisdizione sui luoghi interessati: a prova del trasferimento della giurisdizione ai nuovi signori, a partire dagli anni 1466-67 non sono più registrate nomine di podestà da parte del duca nelle podesterie alienate nel distretto: Broni, Casteggio, Montalto, Retorbido, ecc.

I giuramenti del 1470

Per introdurre la lista dei singoli feudi è utile citare un momento specifico della vita politica del ducato di Milano e della contea di Pavia, la cui documentazione consente di avere un’immagine sufficientemente completa dei feudatari del pavese nella seconda metà del Quattrocento, ovvero i giuramenti di fedeltà delle città, delle terre separate e dei feudatari o detentori di privilegi al duca Galeazzo Maria Sforza, tra dicembre del 1469 e settembre del 1470. Questi giuramenti sono contenuti sia in documentazione sparsa (i complessi archivistici delle singole località) sia in due documenti, uno per le città e le terre separate, che giurano a partire dal 30 dicembre 1469, e un altro per i feudatari, che giurano il 20 marzo 1470. Questi giuramenti non sono in realtà un unicum, perché nell’anno 1477 è documentato un altro episodio simile, in cui il duca Galeazzo Maria riceve ancora una volta i giuramenti di fedeltà e di conseguenza rinnova le investiture ai feudatari.

Se dunque questa documentazione consente di avere per gli anni 1470-77 un’immagine completa dei feudatari, per quanto riguarda i loro territori le informazioni risultano lacunose, in quanto nelle investiture è quasi sempre evidenziata soltanto la località principale del feudo, senza le pertinenze, indicate talvolta in maniera vaga, talvolta in maniera più dettagliata. Per colmare queste mancanze, laddove possibile, si è ricorso ad altra documentazione, che in alcuni casi permette di definire con una certa precisione l’ambito territoriale di questi feudi.

Grazie a tutta questa documentazione si può tentare di ricavare, con tutte le necessarie riserve del caso, una “mappa” del territorio, grazie alla quale si ottiene una visione più immediata della distribuzione delle terre alienate: si nota l’assoluta prevalenza delle terre infeudate, cui si aggiunge una modesta presenza di signorie ecclesiastiche, soprattutto nelle terre nei pressi del fiume Po; tra i feudi, poi, prevalgono quelli  di dimensioni medie, salvo i casi della consorteria dei Beccaria, che in quanto tale raccoglie diversi feudi di dimensioni medio-piccole, e di Pietro Dal Verme, che controlla tutta la fascia appenninica da Rocca Sussella a Ruino e Voghera con le terre circostanti, oltre a numerose terre nel Piacentino.

feudi distretto pavia 1470.

I feudi in Oltrepò pavese (1470). [clicca per ingrandire]

Feudatari in Oltrepò - legenda.

Feudatari in Oltrepò – legenda.

Feudi, giurisdizioni ecclesiastiche, terre separate,  con immunità e entrate alienate caso per caso

Sulla base dei già detti giuramenti di fedeltà degli anni 1469-70 presentiamo in seguito un elenco dei feudi in Oltrepò pavese, delle terre infeudate, separate, con immunità e/o con entrate alienate, nonché delle giurisdizioni ecclesiastiche, tra l’età di Filippo Maria Visconti e quella di Galeazzo Maria Sforza, con alcuni sconfinamenti laddove risulti utile a comprendere meglio le vicende del feudo, o il suo ambito territoriale.

I singoli casi sono inquadrati per categoria (feudi, terre separate, ecc.), ponendo l’accento sul “capoluogo” e, laddove possibile, sugli altri luoghi compresi, cercando anche di comprendere se il caso analizzato riguardi un’investitura feudale  con merum et mixtum imperium (mmi), gladii protestate (glp) e omnimoda iurisdictione (oi), una semplice alienazione di entrate (con o senza investitura feudale), o una serie di privilegi e/o immunità. Come data di riferimento finale è utilizzato l’anno 1470, ed è allo status del luogo in quel momento che corrispondono i titoli e l’organizzazione dell’elenco.

Feudi camerali

Broni (conte Giovanni Attendolo)

Il 21 novembre 1412 vi è un investitura, dalle caratteristiche non specificate, di un «feudo di Broni» a Manfredo Beccaria, che in seguito alla guerra con il duca viene spogliato di questo possesso.

Il 20 gennaio 1435 Broni viene separato dalla giurisdizione di Pavia ed infeudato, cum toto dicte terre Brone territorio et districtu, a Giovanni Balbo, ma negli anni ’50 del Quattrocento il luogo non risulta più infeudato.

Il 7 ottobre 1466 vennero vendute a Giovanni Attendolo le entrate dell’imbottato e dei dazi del pane, del vino e della carne, più altre entrate non indicate, della squadra di Broni, composta dai seguenti luoghi: Pietra (questa località senza l’imbottato, già alienato ad altri), Cigognola, Predalino, Montevico, Pecorara, Valle, Castana, Monteacutello de’ Gabbi, Tosniso, Verrua, Castelletto1, Lago dei Porci, Boffalora, San Cipriano, Bottarolo, Campospinoso, Baselica, Casanova, San Paolo, Barbianello, San Re, Redavalle, Pirocco, Vicomune. L’acquirente ricevette in seguito l’investitura feudale anche per la giurisdizione sui luoghi della squadra. Questa investitura presenta un’interessante analogia con quella della squadra di Garlasco, ma possediamo più informazioni a riguardo. Anche qui vengono vendute le entrate dell’intera squadra, con inclusa la giurisdizione sui luoghi ad essa appartenente, ma molti luoghi erano già infeudati, e nel 1470 i feudatari giurano fedeltà al duca: così Niccolò Beccaria per Pietra e Predalino e Giorgio Valperga per Monteacutello; oltre a questi, anche Cigognola e Castana non erano sotto la giurisdizione dell’Attendolo. Il fatto che l’investitura della giurisdizione riguardasse solo i luoghi non infeudati trova conferma nell’elenco delle terre del feudo di Broni del 1531, che sono «Baselica, Bottarolo, Barbianello, Casanova dei Lonati, Castellazzo dei Busca (Busca), Cascina delle Valli (Vallassa dello Scuropasso), Campospinoso, Cascina Cantarana, Montarco, Pegorara, S. Cipriano e Vescovara Oltrepò»: come si può vedere l’ambito territoriale è molto più ristretto di quello della squadra, ed è coerente con la presenza delle altre terre infeudate. La dimensione di quest’ultima è invece dettagliatamente rappresentata in un altro elenco riportato dal Cerioli, sempre dello stesso anno, nel quale sono indicate «le ville et luoghi quali sono sottoposti alla detta terra et al pagamento dell’imbottato», ossia «le “terre” di Broni, Donelasco, Monte Arco, Pradalino, Pecorara, Montigro (Montevico), Cassino, Re de valle, Barbianello, Bottarolo, Casanova [Lonati], Baselica, Campospinoso, Lago dei Porzi, Boffalora, San Cipriano, La Busca, e le “ville” (cascine) di Serra (fraz. di Canneto), il Casale, Bolze, Gariascho, Casa del Boscho. La Costa, Boffalora, il Fighetto, Vale, La Bellocchia, Cha della Paglia, Casa Rodeschina, La Bovina, Cà Trapetta, La Gandiola, Colombara Paron, Cà del Mai lotto, Casa Lodesana

Casei (Marsilio, Giacomo, Amorato e Guido Torelli)

Casei, già signoria di Nicolino Beccaria, viene occupato dalle milizie ducali nel settembre del 1414, e l’11 novembre viene creato il Comitato di Castelnuovo (Scrivia), comprendente anche Casei (separata dunque dalla giurisdizione pavese), concesso in feudo al Carmagnola, con mmi, gl.p. e o.i. Nella pace stipulata il 10 settembre 1415 tra i Beccaria ed i rappresentanti del duca e conte Filippo Maria Visconti si fa cenno alla restituzione della giurisdizione su Casei ai Beccaria, ma in seguito alla ripresa delle ostilità nel 1416 e alla sconfitta della casata pavese viene ratificata la concessione al Carmagnola nel 1421. Nel 1428 torna alla camera ducale, e il Carmagnola viene assolto dagli obblighi feudali.

Il 19 maggio 1431 il duca investe in feudo Guido Torelli della terra, luogo, castello o rocca di Casei e del luogo di Cornale , con m.m.i., gl.p., o.i., ed entrate. Morto questo nel 1449, nel 1456 vi è la divisione dei feudi tra i figli: oltre ai feudi in Emilia, a Pietro Guido toccano Settimo e Villareggio, mentre a Cristoforo toccano Casei e Cornale.

Il 28 settembre 1456 il feudo di Casei e Cornale viene eretto in marchesato.

Morto Cristoforo nel 1460, gli succedono i figli Marsilio, Giacomo, Amorato e Guido, che ottengono conferma dell’investitura nel 1465, il 20 marzo 1470 e il 27 dicembre 1477.

Casteggio (Angelo Simonetta)

Casteggio ebbe una prima infeudazione il 9 febbraio 1441, quando fu investito del feudo Cesare Martinengo: il luogo venne separato dalla giurisdizione pavese e il feudatario ottenne m.m.i., gl.p. e o.i., oltre a dazi e gabelle, tranne la gabella del sale e i dazi del guado e della mercanzia e ferrarezza. Quest’infeudazione non dovette durare molto, se nella seconda metà degli anni ’50 il luogo non  risulta più infeudato.

Il 15 settembre 1466 vengono vendute ad Angelo Simonetta le entrate dell’imbottato del vino, delle biade e dei legumi della squadra di Casteggio, composta dai luoghi di Argine, Casatisma, Rivetta, Mairano, San Biagio,  Tronconero, Crotesi, Castel Felice, Sgarbina, Ca’ de Guerci, Borgo Priolo, Bussolino e altri luoghi non indicati. L’acquirente ricevette in seguito l’investitura feudale anche per la giurisdizione sui luoghi della squadra, e nel 1477 vi è conferma dell’investitura ed erezione del feudo in contado.

Corvino (Antonio Arcimboldi)

Il 1° settembre 1470 il duca Galeazzo Maria investe Antonio Arcimboldi del feudo di Corvino comprendente, oltre al “capoluogo”, i luoghi di Scarampazzo, Bosco Madio, Ca’ di Berzio, Verzate, Ca’ Torrazza, La Verua (Verrua) e la Taverna di Todo, con entrate e giurisdizioni. L’investitura non compare nel giuramento di marzo per ovvi motivi cronologici.

Fortunago (Pietro Dal Verme)

Il 30 settembre 1417 il luogo, la terra e il castello di Fortunago vengono dati in feudo al Carmagnola, e nel 1428 tornano ancora alla Camera ducale.

Il 4 luglio 1432 Paolo Seratico viene investito delle podesterie di Fortunago, Gravanago, Stefanago, Rocca Susella e Montepicco, con le stesse prerogative del duca2.

Il 23 maggio 1436 comincia il lungo governo dei Dal Verme, quando Luigi viene investito del feudo avuto dal padre Jacopo nel 1403 (poi evidentemente interrotto), comprendente la podesteria di Fortunago con le sue pertinenze, con m.m.i., gl.p., o.i., esenzioni e regalie. Il feudo passa in seguito al figlio Pietro, ma dopo la morte di questo (ott. 1485) il duca investe Gerolamo Riario, signore di Forlì, che il 2 febbraio 1487 ottiene di poter vendere il feudo aBergonzo Botta, con m.m.i., g.lp., ecc. Secondo il Legè in quegli anni il feudo di Fortunago comprendeva «la valle di Borgoratto, Monteferradello (o Montefratello) sotto il qual nome s’intendeva anche Staghiglione, Stefanago, Gravanago, Montepico e Roccasusella, salva la parte di questa, spettante alla Mensa vescovile di Tortona»

Il 26 settembre 1499 vi è il giuramento di fedeltà degli abitanti del luogo al Botta.

Mondondone e Montù (Manfredino e Rainaldo Beccaria)

il 3 settembre 1412 le terre e i castelli di Montù, Mondondone e Codevilla e pertinenze, e le terre e le ville di Murisasco, Sant’Antonino e Nebiolo, vengono separati dalla giurisdizione pavese, sottomessi a Mondondone e concessi in feudo a Rainaldo Beccaria con m.m.i., gl.p. e o.i., ma in seguito alla guerra tra i Beccaria e Filippo Maria Visconti il feudo passa alla Camera ducale.

Il 15 marzo 1442 Mondondone, precedentemente concesso in feudo ad Antonello Seratico e separato dalla giurisdizione pavese, viene eretto in Comitato con m.m.i., gl.p. e o.i..

Alla morte di Filippo Maria Visconti nel 1447 i Beccaria si riprendono il possesso di Mondondone a mano armata, ricevendo in seguito conferma ducale da Francesco Sforza. Il 30 dicembre 1469 Galeazzo Maria investe i fratelli Manfredino e Rainaldo Beccaria dei feudi di Mondondone, Monteacuto, Codevilla, Murisasco, Garlazzolo, Sant’Antonino e Nebbiolo. Conferme il 20 marzo 1470 e il 6 gennaio 1477.

Montalto (Antonio e Stefano Belcredi)

Sul luogo di Montalto sin dal duecento esercitava la sua influenza, tramutata in alcuni momenti in diretta giurisdizione3, la famiglia Belcredi, che consolida questa secolare influenza il 13 ottobre 1466, quando i fratelli Antonio, Stefano e Uberto Belcredi acquistano le entrate dei dazi del pane, del vino e della carne e dell’imbottato del vino, delle biade e dei legumi per tutti i luoghi della squadra di Montalto, eccetto Travaglino, ricevendo in seguito l’investitura feudale per le entrate e la giurisdizione sui luoghi della squadra.

Monteacutello (Giorgio Valperga)

Le entrate del luogo di Monteacutello4, in quanto parte della squadra di Broni, erano già state vendute a Giovanni Attendolo. Restava comunque la giurisdizione sugli abitanti del luogo.

Montebello e Montecalvo (Gerolamo Beccaria)

Montebello e Montecalvo vennero infeudate con titolo comitale il 22 febbraio 1469 a Gerolamo Beccaria; il giuramento di fedeltà dell’anno successivo specifica che l’investitura riguardava terris et locis Montis Calvi et Montis Belli, Comitatus Papie cum iuribus et pertinentiis suis, senza alcun accenno alle squadre sottostanti ai due luoghi. Per quanto riguarda i luoghi compresi in questa investitura si può invece pensare che il riferimento sia, almeno per Montebello, a quelli che gli risultano sottoposti nella compartitura per la tassa dei cavalli del 1474, che sono Castel felize, Ca di Guerzi, Borgo Pieriolo, Balissonsi, la Ca noua e Uerreto (separato in quella circostanza), anche se alcuni di questi erano parte della squadra di Casteggio, e in quanto tali erano stati dati ad Angelo Simonetta. In ogni caso i luoghi prima citati circa settant’anni dopo, al momento della riappropriazione del feudo da parte della camera ducale il 9 agosto 1535, sono tutti compresi nel feudo di Montebello e Montecalvo, che comprende anche Cantalupo, Castelletto, Regalia, Retorbido, Torre del Monte, Montecalvo, Donelasco, Golferenzo, Rocca de’ Giorgi e Volpara.

Nel 1477 vi è conferma dell’investitura.

Montecastello (Giovanni Stampa)

Il 28 ott. 1403 Facino Cane riceve dalla duchessa di Milano in pegno la terra di Valenza con il castello, e un altro castello, per fiorini 45.000, la terra di Montecastello per fiorini 8.000 e la terra di Breme per fiorini 7.000.

il 20 marzo 1470 vi è l’investitura a favore di Giovanni Stampa del feudo di Montecastello con giurisdizione e entrate, rinnovata in favore dei figli Francesco, Pietro Martire e Filippo il 31 gennaio 1477.

Montescanino (Nicolò de Arena)

Nicolò de Arena giura per una parte di Montescanino il 20 marzo 1470.

Montescanino, in parte (Antonio Besozzi)

Antonio Besozzi giura per una parte di Montescanino il 20 marzo 1470.

Montesegale (Gian Andrea dei conti di Lomello)

Il castello di Montesegale, già dei Gambarana (conti palatini), venne occupato il 18 settembre 1417 dalle milizie comandate dal Carmagnola, inviate da Filippo Maria Visconti a reprimere i conti ribelli, e così il 30 settembre 1417 il luogo e la terra di Montesegale con le sue fortezze vengono date in feudo al già detto comandante, e nel 1428 tornano alla Camera ducale.

Il 4 luglio 1432 il luogo di Montesegale, con Pizzocorno, diocesis papiensis, venne separato dalla giurisdizione di Pavia e concesso in feudo a Paolo Seratico, con merum et mixtum imperium, gladii potestate e omnimoda iurisdictione.

Con l’avvento di Francesco Sforza cambia l’atteggiamento dell’autorità di Milano verso gli antichi signori del castello: con decreto del 22 aprile 1451 il duca « ripristinò negli antichi onori e nel possesso dei beni dei beni e prerogative […] e nel feudo di Montesegale » il discendente dei Gambarana privati del feudo da Filippo Maria, il conte palatino Ottino Gambarana del fu Guido. I figli di Ottino, Giovanni Antonio e Giovanni Andrea, ottengono conferma del feudo il 9 gennaio 1467, ricevendo «il luogo e la terra di Montesegale con le sue ville, territorii e pertinenze, e con gli uomini quali e quanti fossero entro quei confini», con m.m.i, gl.p., e o.i., separazione da Pavia, dazi e gabelle, salvo la gabella del sale, i dazi della mercanzia e della ferrarezza e la tassa dei cavalli. Altra conferma il 20 marzo 1470.

Pancarana (squadra), e Retorbido (Pietro Dal Verme)

Il 20 ottobre 1466 vennero vendute a Pietro Dal Verme le entrate dei dazi del pane, del vino e della carne, e dell’imbottato del vino e delle biade della squadra di Pancarana e del luogo di Retorbido. L’acquirente ricevette in seguito l’investitura feudale per le entrate e la giurisdizione sui luoghi acquisiti.

Il Dal Verme possedeva già la giurisdizione su una parte della già detta squadra, quella corrispondente alla podesteria di Fortunago, comprendente i luoghi di Gravanago, Stefanago, Rocca Susella e Montepicco5.

In una lettera datata 4 settembre 1483 diretta al suo vicario il Dal Verme «ordinava di fare in modo che i vogheresi provvedessero ad allargare il fossato del castello facendosi aiutare dagli abitanti di Fortunago, Retorbido e altri borghi vicini: l’ordine non sarebbe stato esteso […] se sul luogo i Dal Verme avessero detenuto soltanto i dazi e non la completa giurisdizione feudale»

Pecetto, un terzo (Ottone Mandello)

Il 10 settembre del 1402 la duchessa Caterina concede il castrum e la terra di Pecetto ad Ottone Mandelli, che lo tiene fino al 1408, quando il luogo viene occupato da Facino Cane. Il 18 aprile 1420 gli eredi di Ottone Mandelli Antonio, Raffaele e Tobia ottengono l’infeudazione dal Duca Filippo Maria, con m.m.i., gl.p. e o.i., che si spartiscono il feudo in parti di un terzo.

Il 23 giugno del 1446 Tobia Mandelli cede il suo terzo del castello di Pecetto al duca di Milano, che detiene un altro terzo da data imprecisata, in cambio di un terzo del castello di Caorso nel piacentino. Resta ai Mandelli un terzo del feudo, nella persona di Ottone di Raffaele, che ottiene conferma da Francesco Sforza il 23 novembre 1450 e il 20 marzo 1470.

Pietra [de’ Giorgi], Predalino, Rocca di messer Fiorello (Niccolò Beccaria)

Il castello di Pietra con le relative possessioni, già dei Sannazzaro, fu a questi confiscato il 15 aprile 1406 da Filippo Maria e da questo dato a Galvagno Beccaria e a suo figlio Antonio. In seguito alla guerra tra i Beccaria e il Visconti il possesso fu tolto alla famiglia pavese, e dato in feudo nel 1444 a Galeotto de Bardasino con m.m.i., gl.p. e o.i. (il feudo comprendeva Pietra, Predalino, Bardonenzo e San Quirico). Il 4 dicembre 1446 il feudo di Pietra e Predalino viene dato a Giovanni Pazzaglia.

il 23 gennaio 1450 Francesco Sforza restituisce il feudo ai Beccaria nelle persone di Fiorello, Antonio, Castellino e altri (i primi tre sono i figli del già detto Antonio); nel 1453 il feudo risulta essere nelle mani di Niccolò Beccaria (figlio del secondo), che, morto nel 1474, lascia la figlia Franceschina come unica erede. Antonio Giorgi, marito di questa, ottenne dal duca Galeazzo Maria la conferma del feudo il 28 marzo 1475, e da allora il luogo di Pietra, già detto “dei Beccaria”, comincia ad essere chiamato “Pietra de’ Giorgi”.

Per quanto riguarda la Rocca, nel XII secolo questa era detta “di Aimerico” ed apparteneva al Capitolo dei canonici della Cattedrale di Pavia. Nel XIII sec. è detta Rocca de’ Campesani (o Campeggi), dalla famiglia che la teneva in affitto dai canonici, e dal  31 luglio 1265 diventano affittuari i Sannazzaro. Nel 1341 Francesco de Petra dei Sannazzaro investì ad affitto perpetuo la figlia Filippina, moglie di Fiorello Beccaria, di sette parti su otto del castello della Rocca de’ Campesani (o Campeggi).6, e il 20 ottobre 1344 il restante ottavo del podere della Rocca viene venduto da Alberigo Campeggi a Fiorello Beccaria, e così dalla metà del XIV secolo il luogo viene denominato Rocca di Messer Fiorello7. A Fiorello succese Nicolino, e poi il figlio di questo Antonio.

Nel 1466 la Rocca è di Niccolò Beccaria, che riunisce Rocca e Pietra.

Piovera

Con istrumento del 23 novembre 1450 il duca Francesco Sforza conferma ad Ottone Mandelli in feudo «Castrum Terram sive Locum Pioperae cum Rocha et Loco della Mota et Castrum Revelini Diocesis Papiae»

Il 1° gennaio 1475 il luogo viene infeudato a Filippo Maria Sforza Visconti. Conferma il 27 dicembre 1477.

Rivarone (consorteria Bellingeri)

Il 21 marzo 1470 vi è il giuramento di fedeltà di Antonio, Giacobino fu Bernabò e altri consorti Bellingeri, con relativa investitura del feudo di Rivarone con giurisdizione ed entrate.

Robecco e Santa Giuletta (Antonio Beccaria)

I luoghi di Robecco e Santa Giuletta, già di Lancellotto Beccaria, furono occupati dalle milizie ducali nella guerra tra questo e Filippo Maria Visconti, e secondo la pace stipulata il 10 settembre 1415 tra i contendenti, dovevano essere restituiti alla famiglia pavese, ma in seguito alla ripresa delle ostilità e alla loro sconfitta, il 28 ottobre 1418 il duca concede in feudo a Tibaldo Seratico il castello di Robecco e tutte le proprietà, terre e beni immobili dei ribelli Castellino e Lancellotto in quel territorio e in quello di Santa Giuletta, con m.m.i., gl.p. e o.i.. L’investitura viene confermata il 7 agosto 1439 a Galeazzo Seratico, figlio del precedente.

Nel 1450 gli eredi di Lancellotto Beccaria chiedono la restituzione dei beni confiscati, ottenendola il 20 giugno 1456, quando Francesco Sforza conferma ad Antonio Beccaria del fu Castellino i beni di Santa Giuletta e di Robecco. Questi possessi vengono confermati a Bernardo e Lancellotto figli di Antonio nell’anno 1496, mentre per la sola Santa Giuletta, i consorti Bassano Porcaria e Margherita Beccaria, consignori del feudo, giurano fedeltà a Carlo V il 7 febbraio 1536.

Rivanazzano (Battistino Campofregoso)

Il 21 aprile 1453 Masino di Campofregoso riceve il feudo di Rivanazzano dal duca, e il 19 maggio il duca ordina al castellano di Rivanazzano di lasciarle il castello, che il Campofregoso aveva avuto in concessione con mero et mixto imperio, intrate, iurisdicione et pertinencie soe, tramite un privilegio.Questa «investitura [era] in realtà solo nominale, nei fatti esercitata dal fratello Pietro al punto che il duca, alla morte di questo [nel 1459], trasferì l’ubbidienza del feudo alla vedova di lui, Bartolomea Grimaldi», cui succede il figlio Battistino, che il 19 febbraio 1467 viene investito del feudo, ottenendo conferma il 20 marzo 1470 e il 6 gennaio 1477.

Rivellino pavese (Antonio Corti)

Il 14 gennaio 1423 Filippo Maria Visconoti permette a Tobia Mandelli di comprare da Melchiorre de Tomitiatis il fortilizio di Rivellino nella diocesi di Pavia, con le relative possessioni, al prezzo di 1000 ducati d’oro.

Nel 1457 era possesso del conte Filippo Borromeo e di Pietro Pusterla.

Il 20 marzo 1470 Antonio Corti giura fedeltà per il feudo di Rivellino.

Rovescala (Gasparino Visconti)

Il 20 marzo 1470 Gasparino Visconti giura fedeltà al duca Galeazzo Maria per il feudo di Rovescala.

Sale (Gaspare Vimercati)

Il giorno 8 dicembre 1415 il castello e la terra di Sale vengono uniti al comitato di Castelnuovo, possesso feudale del Carmagnola, con m.m.i., gl.p. e o.i., e nel 1428 tornano ancora alla Camera ducale, per essere reinfeudati il 22 maggio 1438 a Aloisio Sanseverino.

Il 1 febbraio 1449 gli abitanti di Sale si danno a Francesco Sforza, ottenendo nello stesso anno con un privilegio la separazione da Pavia, e negli anni seguenti il luogo non risulta infeudato.

Il 6 ottobre 1466 il luogo di Sale, con il suo porto e le entrate dei dazi del pane, del vino e della carne, e dell’imbottato del vino, delle biade e dei legumi, viene venduto a Gaspare Vimercati. Nella successiva investitura feudale vengono comprese la giurisdizione sugli uomini del luogo e le già dette entrate. Il 20 marzo 1470 vi è una conferma dell’investitura, mentre il 22 dicembre 1477 il feudo passa a Cicco Simonetta.

Silvano (fratelli Lavello)

il 10 febbraio 1403 la duchessa Caterina Visconti, madre e tutrice di Filippo Maria, vendette il castello di Silvano, quod est cum hedifitiis tribus fortalitia, a Nicolino Beccaria, con omnibus et singulis iurisdictione, mero et misto imperio, dignitatibus, exemptione, honorantia et privilegio ipsi castro pertinentibus et spectantibus ipsi castro8. Nel 1408 si aggiunge a questo possesso il castello di Armentaria9, strappato con le armi da Nicolinio ai Campeggi10.

Scoppiata la guerra tra i Beccaria e Filippo Maria, nel 1414 i suddetti luoghi vennero occupati dalle milizie ducali e nella pace stipulata il 10 settembre 1415 si fa cenno alla loro restituzione ai Beccaria, ma il ritorno delle ostilità causò il loro definitivo incameramento.

Il 3 febbraio 1417 la terra di Silvano viene aggiunta al comitato di Castelnuovo [Scrivia], possesso del Carmagnola, che la tiene fino al 1428, quando torna alla Camera ducale.

Il 6 dicembre 1430 il castello e la terra di Silvano vengono concessi in feudo a Cristoforo Orsini di Lavello, con separazione da Pavia, m.m.i., gl.p., o.i. ed entrate, comprese la gabella del sale e la tassa dei focolari. A Cristoforo succedono i figli illegittimi Pietro Paolo, Angelo Tartaglia e Giovanni Cristoforo, che il 19 giugno 1437 ottengono il rinnovo della concessione feudale, previa estensione della successione ai figli maschi illegittimi. I primi due giurano fedeltà a Galeazzo Maria Sforza il 20 Marzo 1470 e ottengono conferma del feudo nello stesso momento, nel 1477 e nel 1484.

Nell’atto di apprensione del feudo del 16 agosto 1530 a Claudio e Brunorio Pietra questo comprendeva «Jurisdictio dicte terrae Silvani subecta d. potestati dictae terrae: Corana pro medietate, Bertagna, Boffalora, Romentera».

Voghera e pertinenze (Pietro Dal Verme)

Il 19 luglio 1412 il duca separa dalla giurisdizione pavese la terra di Voghera con il suo distretto, che erige in comitato, aggiungendo le terre di Serravalle, molandino nuncupato de Ponzano, Nazzano, Retorbido e Casalnoceto nella diocesi di Tortona, e Lomello, Garlasco e Cilavegna nella diocesi di Pavia, e concedendolo in feudo a Castellino Beccaria di Robecco, che diventa conte di Voghera « cum omnibus illis dignitatibus, libertatibus, potestatibus et preheminentiis, iurisdictionibus et baylijs et honoribus che la dignità comitale comporta. ». Questo comitato dopo l’esecuzione di Castellino da parte del duca viene sciolto e il feudo incamerato.

Il 23 maggio 1436 la terra di Voghera è infeudata, insieme a Castel San Giovanni e Bobbio, a Luigi Dal Verme, con separazione dalla giurisdizione di Pavia, m.m.i., gl.p. e o.i. A Luigi succede il figlio Pietro, e alla morte di questo nell’ottobre del 1485 il feudo viene incamerato.

Signorie ecclesiastiche

Bastida de’ Dossi (monastero di San Salvatore di Pavia)

Aldilà del rintracciare le difficili origini di Bastida de’ Dossi, che anticamente sorgeva più a nord dell’attuale abitato, e che Il Legè, il Gabotto ed il Manfredi sostengono sia sorto sopra i ruderi dell’antica corte di Blundi, rileviamo che a metà Quattrocento questo luogo esisteva già, e aveva assorbito il vicino abitato di Gazio nel proprio territorio, come si apprende da due istrumenti, uno del 1453 «ove dicesi in Loco de Dossis seu de Gazio posito et jacente prope et ultra Padum» e un’altro «rogato Canevari» del 1471 «nel quale si vede espresso Loco Dossorum sive Gazii». Entrambi i luoghi, Blundi e Gazzo, appartennero al monastero di S. Salvatore di Pavia11, e a metà Quattrocento gli stessi monaci ottengono dal Duca facoltà di fortificare il luogo di Bastia de Dossi, e dunque ne detenevano ancora il possesso. Così è ancora nel 1673 e nel 1679.

Cecima (vescovo di Pavia)

In un diploma di Lotario e Ludovico II dell’anno 849 abbiamo la prima concessione al vescovo di Pavia della giurisdizione temporale sulla corte di Cecima, il cui territorio, corrispondente a otto miglia su tutti i lati, è stabilito in un diploma di Enrico II del 1014. Questo vasto territorio probabilmente non appartenne mai al distretto di Cecima, mentre invece sappiamo con certezza che in questo era compreso il territorio di San Ponzo. Negli anni dei vescovi Pietro Grassi (1402-1426) e Giovanni Castiglioni (1454-1460) vi sono dei riferimenti all’esercizio dell’autorità dei vescovi sul luogo.

Corana “del Comune” e “della Mensa”

Da prima del XIII secolo Corana è possessione del monastero di San Salvatore di Pavia, e nel 1240 l’abate Guglielmo de Ayroldis fece pubblicare un Precetto agli uomini del Comune di Corana affinché difendessero tutti i beni della corte di Corana, essendo a ciò tenuti per la fedeltà giurata all’abate. In un Istrumento di Protesta del Giudice di Pavia del 3 Febbraro 1270 si dichiara che l’abate di S Salvatore è solito eleggere e delegare il Giudice e Podestà del Luogo di Corana.

In seguito a una causa avviata almeno dal 1257 tra San Salvatore e l’arcivescovo di Milano, il 27 novembre 1270 il territorio di Corana venne diviso, nelle persone rispettivamente dell’abate Lanfranco e l’arcivescovo Ottone Visconti: la prima parte divenne conosciuta in seguito come “Corana del comune”, mentre la seconda come ”Corana della mensa”.

il 24 marzo 1447 Francesco Sforza investiva i fondi di Corana del comune ad Angelello de Lavello, investitura confermata in seguito dall’abate.

Il 17 ottobre 1463, per cercare di allontanare i Lavello dalla loro parte della possesione, i monaci investivano ufficialmente, anche se senza efficacia, Cistoforo e Corradino Bottigella della loro parte di Corana. I Lavello poterono essere allontanati solo dopo il 1467, dopodiché sorse una nuova lite tra l’abate del monastero e Giovanni Matteo Bottigella, conclusasi definitivamente solo il 5 maggio 1487 con intervento papale, e il riconoscimento del Bottigella nella possessione di 7469 pertiche, « cum omnibus juris, pertinentijs et jurisdictionibus suis »

Stradella e Portalbera (vescovo di Pavia)

I luoghi di Montalino (da cui, più a valle, si sviluppò Stradella) e Portalbera diventarono parte dei possedimenti della chiesa pavese in un momento imprecisato dell’XI secolo, in seguito a una o più donazioni di Ugo, marchese dei comitati di Milano e Tortona. Se il possesso del primo luogo pare sia stato incontrastato, per Portalbera vi fu una lunga disputa con la chiesa piacentina, finita solo nel 1301 con la rinuncia di questi ad ogni diritti sul luogo.

Ai tempi del duca Filippo Maria Visconti il luogo di Stradella era sede di un podestà di nomina ducale, ma nell’età di Francesco Sforza è di nuovo dominio del vescovo di Pavia.

Terre separate

Bassignana e Mugarone

Il giorno lunedì 20 gennaio 1470 giurano Franciscus de Belingeriis, Guizardus de Fionibus, Marces de Girardis, Franciscus de Canibus Sindici & Procuratores Communium Terrae Bassignanae, & Loci Mugaroni, confermando un Instrumento tradito & rogato da Thomam de Belingeriis, Notarium publicum, il giorno di mercoledì 24 gennaio 1470.

Precedentemente Bassignana era stata possesso di Lancellotto Beccaria dal 1411 al 141512, e poi (dal 1428) feudo di Bartolomeo della Sala. Nel 1447 Carlo Gonzaga risulta essere feudatario di Bassignana, Borgofranco e Sartirana, che deteneva queste terre da un momento imprecisato. Nel periodo che seguì la morte di Filippo Maria il Gonzaga perse i feudi, e Bassignana si diede ai Savoia nel settembre del 1447. Francesco Sforza, recuperato il borgo, lo lasciò libero da feudatari fino al 27 dicembre 1473, quando venne investito il “fratello carissimo” del duca, Filippo Maria. Nel 1441 erano state staccate dal territorio di Bassignana le località di Rivarone e Mugarone, date in feudo a diverse persone della famiglia Bellingeri.

Valenza

Il giorno lunedì 20 gennaio 1470 giurano Ghirardus Aribaldus, Giraldus Frasia, Ludovicus Stancus, & Joannes Jacobus Draconus Syndici & Procuratores Communitatis Terrae Valentiae, confermando un Instrumento tradito & rogato da Joannem Maximum de Aribaldis, Notarium publicum, il giorno 25 gennaio 1470.

Gustavo Ferrara

Feudi in Oltrepò pavese nel Quattrocento ultima modidfica: 2016-10-30T15:20:19+01:00 da Gustavo Ferrara

Riferimenti e citazioni

  1. I luoghi di Tosniso, Verrua e Castelletto dovrebbero corrispondere, in linea con altri documenti riguardanti la squadra di Broni, a Tonasco (o Totonasco), Venesia (luogo scomparso) e Castellazzo (att. frazione Busca, Mezzanino).
  2. Vedere Montesegale.
  3. Specie a metà Trecento e nei primi decenni del Quattrocento.
  4. Corrisponde a Montù de’ Gabbi, frazione di Canneto pavese, che fu sede comunale fino al 1885.
  5. Vedere Fortunago.
  6. I confini di questo podere erano costituiti da una serie di riferimenti geografici: il Monte delle noci; il Monte secco fino alla croce di Oramala sul poggio Ramberto (sulla via dei Leverzenghi), comune ai poderi della Rocca e dei Leverzenghi; il Monte Marengo; il Montecucco; il fosso Serrugia (che divideva il territorio da quello di Montalto Pavese); il Monte Cornale, nel campo dei peri di Rolando e Murro fratelli Belcredi (forse i signori di Montù Berchielli, quindi di Montalto). Poi le indicazioni diventano più precise: da questo termine al monte Montisello, girandovi attorno verso Valle Orsa, si arriva fino alla buca del monte Montisello, del detto sig. Francesco (de Petra dei Sannazaro) il quale lo cede nell’investitura presente. Seguono altri sette termini costituiti che iniziano al campo della chiesa della pieve di Canevino, detto Campo di Brayda di San Martino, e finiscono al campo lavorato da Senglardo di Monteacuto. Il torrente Sciripazio (Scuropasso) divideva il territorio da quello di Pecorara. Vengono escluse dal podere le pezze di terra di Alberigo de Campixe (Campeggi) e quelle della pieve di Canevino.
  7. Così in quasi tutti i documenti consultati in questa ricerca.
  8. Tra questi tre fortilizi vi era sicuramente quello della Bastida di Gazo (oggi Bastida de’ Dossi), che nel 1405, dietro licenza di Filippo Maria Visconti, venne riparato e ulteriormente fortificato da Nicolino Beccaria e dal testo della pace del 1415 tra i Beccaria e i Visconti risultava essere appartenuto a Castellino e Lancellotto.
  9. Dopo questo saccheggio Nicolino ordina la demolizione del castello e il trasporto delle sue pietre nei luoghi di Casei, Silvano, Cornale e Gerola, dove vennero riutilizzate.
  10. Più specificamente, il luogo era tenuto da Giovanni Guidetto Agostino e Lanfranco Campeggi.
  11. Blundi apparteneva al vescovo di Tortona, il quale la diede con atto del 17 settembre 999 alla regina Adelaide che a sua volta la donò al monastero di San Salvatore di Pavia; per quanto riguarda Gazzo, a partire dal 29 aprile 1280 svariati beni in questo luogo e in Armentera, tra cui i rispettivi castelli, vennero dati in affitto dal Monastero di San Salvatore di Pavia ai Campeggi, e così ancora nel 1334.
  12. Nella già detta pace del 1415 viene consegnata a Filippo Maria Visconti.

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4 pensieri su “Feudi in Oltrepò pavese nel Quattrocento

  1. Lavoro encomiabile e di grande rilevanza. Complimenti. La domanda è: come fare per consultare l’intera tesi di laurea. Sto conducendo, a fatica, una ricerca sulla consorteria Bellingeri e sulla località di Rivarone tra medioevo e età moderna.

    1. Buongiorno Eraldo,
      innanzitutto grazie mille per i complimenti, assolutamente immeritati (anche se, ammetto, è stata una grande fatica finire questa tesi).
      Per consultare la tesi dovrebbe recarsi in Università di Pavia, credo. In ogni caso loro hanno una copia. Le anticipo che comunque nella tesi non vi sono altre informazioni su Rivarone, salvo quelle che comunque le dico adesso: nell’estimo del 1250 l’abitato appartiene alla Lomellina col nome di Rivaronum; nella compartitura della tassa dei cavalli del 1474 è inserita nell’Oltrepò; nella metà del XV secolo ecclesiasticamente appartiene alla diocesi di Pavia (Toscani). Poi ce ne sarebbero altre, ma di banale importanza, e comunque per il Sei e Settecento.
      Sui Bellingeri, se non ricordo male, forse possedevano qualcosa anche a Montebello della battaglia, di cui mi sto occupando in questi giorni.
      Le rispondo anche via email, nel caso non vedesse la risposta qui
      Buona giornata

  2. grazie per questo blog, utile per la mia tesi, è fonte di curiosità, per chi come me ama la storia dell’arte in genere, bello e specifico per chi (come me), della storia pavese non cono sceva nulla.
    Complimenti!
    Bruna.

    1. Bruna, grazie a te del tuo interesse. Sono molto contento che il blog ti sia stato utile!
      Gustavo

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