Le prime notizie certe relative al territorio di Zavattarello risalgono al VII secolo d.C., quando compaiono sui documenti redatti dai monaci del monastero di San Colombano a Bobbio (fondato tra l’altro nello stesso secolo) alcuni toponimi, quali Curtis Tubatiae, che si riferiscono al territorio di Zavattarello (Tubatia è sicuramente assimilabile all’attuale frazione di Tovazza, che ospitò per secoli una curtis appartenente al monastero). Tuttavia il toponimo Zavattarello non compare in nessun documento fino al 1243, e la località era conosciuta con il nome di Sarturianum, un prediale latino che probabilmente indicava la presenza, in epoca romana, di un tempio dedicato al culto di Saturno, probabilmente ubicato sulla sommità della collina che attualmente ospita il castello. Si trattava di un abitato di collina scarsamente popolato, come si può dedurre dal fatto che il suo luogo di culto principale fosse una pieve (l’attuale chiesa parrocchiale). Quest’ultima era dedicata a San Paolo, ed è citata in moltissimi documenti bobbiesi con il nome di plebs Sancti Pauli in Sarturiano. L’edificio fu sicuramente costruito prima dell’anno mille, ma subì molti rimaneggiamenti nei secoli successivi che ne alterarono completamente l’aspetto.
Dal X secolo al dominio dei Landi
Finita l’era turbolenta del Regno d’Italia post-carolingio e consolidatosi, negli anni ‘60 e ‘70 del X secolo, il dominio della dinastia ottoniana sull’Italia, l’attuale territorio di Zavattarello venne confermato tra i possedimenti del Monastero di San Colombano di Bobbio, che a quell’epoca possedeva inoltre vaste terre nelle attuali province di Pavia e Piacenza. Probabilmente fu in quel periodo che venne costruito il primo nucleo fortificato nel sito dell’attuale castello, sebbene ci siano notizie certe dell’esistenza di una fortezza solo a partire dal duecento. Per circa due secoli il territorio restò ancora sotto l’autorità vescovile, finchè le lotte tra guelfi e ghibellini, infuriando nei vicini Comuni (soprattutto Piacenza), coinvolsero anche Zavattarello. Conquistata dai piacentini nel 1196, questi la tennero per tredici anni, fino al 1209, quando l’imperatore Ottone IV reintegrò il borgo al vescovo bobbiese, il piacentino Obertino Rocca. Nella seconda metà del XIII secolo il feudo fu concesso a Ubertino Landi, condottiero piacentino di parte ghibellina, che provvide a fortificare ulteriormente il castello. Nonostante le continue guerre che imperversarono nei decenni seguenti e i ripetuti attacchi dei guelfi, i Landi riuscirono, salvo qualche breve parentesi, a mantenere il feudo in loro possesso.
Nel 1327 Manfredo Landi vide confermati i suoi diritti su Zavattarello con l’investitura del feudo da parte dell’Imperatore Ludovico IV il Bavaro, e il suo dominio sull’Oltrepò Pavese si consolidò nel 1358, grazie all’alleanza con Galeazzo II Visconti, intento a sottomettere il Comune di Pavia che alla fine cadde sotto il dominio della potente famiglia milanese.
Negli anni ‘70 del XIV secolo tra i landi e il vescovo sorsero insanabili dissidi che si conclusero quando il vescovo stesso, il pisano Roberto Lanfranchi, dichiarò decaduta la famiglia da ogni diritto feudale su Zavattarello (1380). Cinque anni dopo la località venne infeudata al Capitano di Ventura Jacopo Dal Verme.
Zavattarello residenza dei Dal Verme
La famiglia del nuovo feudatario era originaria di Verona, dove nacque Jacopo. Condottiero di grande valore, prestò servizio presso i Signori della sua città natale, gli Scaligeri, per passare poi sotto il servizio di Galeazzo Visconti nel 1369. Con la morte di quest’ultimo e l’avvento di Giangaleazzo nel 1378, il Dal Verme acquisì un ruolo di primo piano nel comando degli eserciti viscontei, contribuendo in modo determinante alla loro fortuna. Negli anni successivi il condottiero acquistò, oltre a Zavattarello, vasti territori nell’appennino (tra cui Ruino, Rocca d’Olgisio, Romagnese e Bobbio) che andarono a costituire in seguito il cosiddetto Stato Vermesco. I successori di Jacopo mantennero i feudi acquistati dal padre, aggiungendo Voghera nel 1436, Pizzocorno (Ponte Nizza) nel 1458 e Retorbido nel 1466. L’ultimo dei Dal Verme del quattrocento fu il Conte Pietro, che morì avvelenato dalla moglie Chiara Sforza il 17 ottobre 1485 (una popolare leggenda dice che il suo spirito vaga ancora oggi nelle sale del Castello di Zavattarello), dopodichè il Duca di Milano Ludovico Sforza, detto il Moro, incamerava tutti i suoi feudi e li spartiva tra la stessa Chiara e il capitano Galeazzo Sanseverino (che ebbe i feudi oltrepadani). Nel cinquecento, durante il turbinoso susseguirsi degli eventi politici, Zavattarello registrò molteplici cambiamenti di feudatari, passando al Trivulzio, poi al Conte di Ligny per ritornare ai Dal Verme (1512), quindi di nuovo al Sanseverino (1515). Infine, dopo la battaglia di Pavia (1525) e il conseguente ritorno degli Sforza, i Dal Verme, nelle persone di Federico e Marc’Antonio, vennero reintegrati nei loro possedimenti. Nel 1530 si spartirono i feudi, restando al primo la Contea di Bobbio e al secondo Zavattarello, Ruino, Trebecco, Pietragavina, Lazzarello e, dal 1533, Voghera. Da allora il Castello rimase residenza stabile del casato, specialmente dopo la perdita di Voghera nel 1593. Il maniero fu restaurato tra il 1887 e il 1889, e i discendenti di Marc’Antonio vi risiedettero fin quando, durante la seconda guerra mondiale, Zavattarello diventò campo di battaglia. Il 23 novembre 1944 il Castello venne danneggiato da un incendio appiccato da truppe tedesche durante un rastrellamento di partigiani, e andarono completamente distrutte tutte le raccolte d’arte, fra cui pregiati mobili italiani del XV e XVI secolo.
Il castello di Zavattarello oggi
Nel 1975 la Contessa Titina Gavazzi dal Verme donò il Castello al Comune, vincolando quest’ultimo a darne una destinazione culturale. Così, nel 1978, per impulso dell’amministrazione comunale, cominciarono i restauri del maniero, che portarono all’apertura dello stesso nel 1999 e alla conclusione dei lavori nel 2005. Dal 2003 ospita un Museo di Arte Contemporanea, intitolato nel 2011 alla memoria dei conti Giuseppe e Titina dal Verme.
Oggi si può quindi ammirare un Castello in ottime condizioni, e la sua mole domina, dall’alto di un poggio di arenaria parzialmente ricoperto a bosco (quest’ultimo è una riserva naturale), il borgo e le valli dei torrenti Morcione e Tidone.
L’antica fortificazione è a pianta poligonale con una torre a occidente e il corpo principale a sud. Nella parte inferiore il castello è fortemente scarpato e a nord e sud-est è coronato alla sommità da merli ghibellini; a ovest è stato trasformato in residenza, mentre a sud si nota un’altana con colonnine i cui capitelli di marmo risalgono al quattrocento; la fronte a nord conserva un piccolo ponte levatoio con passerelle, che porta al portale-ingresso, sovrastato da una finestra in arenaria di stile gotico. L’edificio è circondato da un muro con feritoie e ha due ingressi: un portaletto settecentesco a est e un portale a sesto acuto dalla parte opposta.
Gustavo Ferrara