Introduzione
La notte di San Lorenzo è un film del 1982, prodotto dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani e scritto con Tonino Guerra. Ispirato a un precedente cortometraggio “San Miniato, luglio ’44”1 e definito «una continua oscillazione tra ricordi personali e memoria collettiva, cronaca e fantasia, epica ed elegia», esso è innanzitutto una rilettura della strage del Duomo di San Miniato2, che i due registi vissero in prima persona, rispettivamente all’età di tredici e quindici anni. Nel film i fratelli Taviani attribuirono la responsabilità del fatto ai nazisti, avallando un’ipotesi che rimase in auge per lungo tempo, fino a quando, dopo anni di inchieste giudiziarie, nel 2004 si giunse alla conferma che la granata che aveva causato la strage era stata sparata dal 337° Battaglione d’artiglieria campale statunitense, che aveva colpito accidentalmente la chiesa.
Al di là della corretta imputazione della strage a una parte piuttosto che all’altra, i due principali obiettivi del film sono la rappresentazione della Resistenza come guerra civile e la messa in scena della tragedia corale di una popolazione inerme, i cui sentimenti (tenerezza, buona volontà, eroismo, paura) sono costantemente messi in primo piano nel corso della narrazione.
Per evitare di suscitare un impatto emotivo troppo forte nei sopravvissuti alla strage, nella realizzazione del film sono stati adottati alcuni accorgimenti: il nome di San Miniato è stato convertito in quello di S. Martino (nome di fantasia) e le riprese non sono state effettuate nel Duomo di San Miniato ma nella collegiata di Sant’Andrea in Empoli.
Trama
Agosto 1944, S. Martino: i nazisti, all’approssimarsi delle truppe alleate, ordinano a tutta la popolazione del paese di riunirsi nel Duomo. Mentre una parte della comunità obbedisce al comando, un altro gruppo di uomini, donne e bambini, guidato dal fattore Galvano, temendo una trappola, decide di fuggire durante la notte, nella speranza di congiungersi agli Alleati che arrivano da sud.
Poco dopo, i tedeschi e i fascisti, serrate le porte della cattedrale, fanno scoppiare una bomba: molte persone, tra cui la moglie di Corrado, incinta, restano vittime dell’attentato.
Qualche giorno più tardi, mentre i fuggitivi si trovano in un campo a raccogliere il grano con un gruppo di contadini legati alla Resistenza, alcuni fascisti, tra cui il Marmugi, il figlio quindicenne del Marmugi e il Giglioli, insorgono armati, scatenando uno scontro sanguinoso. Nella terribile lotta cade anche il ragazzo di quindici anni, il cui padre si suicida per la disperazione.
Gli scampati allo scontro riparano in un cascinale, dove trascorrono la notte, e Galvano corona il suo sogno d’amore con la cugina Concetta.
All’alba, finalmente giunge la notizia dell’arrivo degli Alleati. É la liberazione: i sopravvissuti fanno ritorno insieme a S. Martino, tranne Galvano che resta a riflettere sotto la pioggia.
Tecniche di costruzione e uso della memoria:
Il film è costruito utilizzando la tecnica del flashback: infatti, nella prima scena una madre, in una notte stellata d’estate, racconta al figlioletto della vicenda vissuta molti anni prima, durante la seconda guerra mondiale; al termine del film, c’è un ritorno al presente: la donna finisce il suo racconto e il bambino si addormenta cullato dalle sue parole che risuonano come una ninna nanna.
La particolarità della narrazione è data dal fatto che le vicende siano ricostruite attraverso la memoria di Cecilia bambina, in una continua sovrapposizione di elementi realistici e favolistici. Ciò, da un lato consente di ripercorrere una vicenda storica realmente accaduta, dall’altro, garantisce alla storia un sapore fiabesco, dando allo spettatore l’impressione di trovarsi di fronte a un racconto romanzato. Del resto, come rammenta Cecilia stessa da adulta, ella non sa se le cose siano andate proprio come le ricorda3.
In una precisa ricerca di realismo si inserisce la scelta compiuta dai registi di far recitare attori quasi tutti non professionisti4, secondo una modalità tipica dei film neorealisti.
Per quanto riguarda l’aspetto favolistico, due sono soprattutto gli elementi più significativi: una visione di contrasto irriducibile tra il bene e il male (i partigiani sono i buoni, i fascisti sono i cattivi) e la conclusione della vicenda con un lieto fine. La coppia oppositiva bene/male è personificata da Cecilia/piccolo Marmugi: Cecilia è la bambina portatrice di speranza e, quindi, è un simbolo di positività di fronte alla bestialità della guerra (per esempio, quando canta la filastrocca); il piccolo fascista, invece, è portatore di morte e, quindi, è un simbolo della violenza e della crudeltà prodotte dal conflitto (infatti, egli è responsabile della strage del Duomo e durante la battaglia con i partigiani trae in inganno un suo compaesano facendolo uccidere).
Ma la fiaba non è l’unica modalità letteraria a cui i fratelli Taviani attingono: infatti, la scena più celebre del film, cioè la battaglia del grano, è una trasfigurazione della storia in epica, poiché Cecilia, immersa nella lotta cruenta tra i partigiani e i fascisti, si immagina che i contadini resistenti si trasformino in mitici eroi greci e che il fascista Giglioli venga trafitto dalle loro lance.
A mio avviso, tra gli elementi più interessanti del film, vi sono le inquadrature dei volti, che sono funzionali alla rappresentazione dei sentimenti dei personaggi. L’inquadratura più significativa in questo senso mi pare quella sul volto di Corrado, subito dopo che il fascista Marmugi gli ha chiesto di risparmiare la vita al figlio quindicenne: Corrado ha il volto stanco, lacerato dalle sofferenze; indugia per un istante, sembra voler cedere alla richiesta, ma all’improvviso spara un colpo secco al ragazzo, uccidendolo. In questo caso nello sguardo del personaggio si intravvedono sentimenti contrastanti: da un lato, la pietà per il ragazzino fascista, dall’altro il desiderio di vendetta (che prevale) per il figlio morto ancora in grembo, ucciso dai tedeschi. Anche l’espressione di Galvano alla fine del film è un misto di sensazioni contrastanti: l’annuncio della fine della guerra e la notte d’amore passata con Concetta generano in lui gioia, incredulità, stupore. Ma nel suo volto c’è anche l’amarezza, per i giorni passati nella paura, a combattere contro i fratelli, nell’incubo di una guerra civile che sembrava non finire mai.
Un altro elemento molto importante del film è la musica, che, come è stato osservato, è un vero e proprio «personaggio5», dal momento che la sua presenza incide fortemente sulle scene, creando drammaticità. Esemplificativa in questo senso è la musica che accompagna il bombardamento del Duomo di San Miniato, un arrangiamento di Nicola Piovani dell’Offertorium dal Requiem di Giuseppe Verdi: qui la musica sembra scandire i gesti solenni del vescovo e le preghiere della popolazione, preludendo all’imminente catastrofe.
Lo stragismo
Uno dei temi storiografici centrali de La notte di San Lorenzo è lo stragismo. Benché, come è già stato rilevato, i Taviani abbiano erroneamente attribuito la responsabilità della strage del Duomo di San Miniato ai tedeschi, tuttavia il film costituisce una fonte storica preziosa: in primo luogo perché è profondamente inserito nel dibattito storiografico degli anni ’80 sul numero e l’entità delle stragi naziste perpetrate in Italia; in secondo luogo perché, ponendo costantemente al centro dell’attenzione il coinvolgimento dei civili nella guerra, anticipa alcuni lavori storiografici degli anni ’90 sulla «guerra ai civili6» e sulle stragi compiute dall’esercito tedesco e anche dalle truppe di Salò7. In questo senso, l’espressione di «guerra ai civili», intesa come «una sistematica politica di saccheggio, uccisioni e terrorismo, pianificata per punire e terrorizzare la popolazione civile e privare così la resistenza armata dell’humus in cui svilupparsi e rafforzarsi8» trova la sua piena rappresentazione nel bombardamento al Duomo di San Miniato.
Santo Peli ha osservato che negli ultimi anni il dibattito storiografico sullo stragismo ha spostato «il centro dell’attenzione sulla popolazione civile9» e ha aperto considerazioni nuove e interessanti circa il rapporto tra civili e partigiani:
“Il problema della violenza, del coinvolgimento ineliminabile dei civili, studiato a partire da situazioni eccezionali, benché terribilmente numerose, quali sono appunto i massacri sulla popolazione, evidenzia rapporti tra civili e combattenti partigiani molto più complessi e problematici di quanto non si sia a lungo immaginato; accanto ad adesioni, complicità, solidarietà ed eroismi popolari, è esistito, ed è ancora attivo nella memoria, un atteggiamento di indifferenza o di rifiuto10.”
Peraltro, studi recenti hanno messo in luce una memoria in molti casi «divisa11», vale a dire una memoria che, anche quando si è trasmessa con una certa coralità all’interno delle comunità locali, tuttavia non si è risolta in una visione unitaria, né nella ricostruzione dei fatti, né nella loro interpretazione. All’origine delle memorie contrapposte vi è innanzitutto una diversa attribuzione di responsabilità, che richiama in causa la congruità tra mezzi e fini di alcune azioni partigiane.
Il primo film sulla guerra civile
Generalmente si parla de La notte di San Lorenzo come del film in cui per la prima volta compare la nozione di guerra civile in relazione alla Resistenza. L’episodio del film più emblematico in questo senso è la battaglia nel grano: il duello fratricida in un campo di grano tra abitanti provenienti dallo stesso paese, ma radicalmente divisi nello scontro politico tra partigiani e fascisti, è una straordinaria metafora della guerra civile.
La caratteristica principale della guerra civile è la violenza: durante la battaglia nel grano essa viene utilizzata sia dai fascisti (come quando il piccolo Marmugi trae in inganno un suo compaesano e quando vengono uccisi a sangue freddo Nicola, Dilvo e una coppia di anziani), sia dai contadini resistenti e dai fuggitivi che li aiutano (come quando Corrado spara al piccolo fascista). Da entrambe le parti emerge una radicale volontà di distruzione del rispettivo nemico, in quanto portatore di un pensiero politico diverso: in questo senso si può vedere come la guerra civile combattuta in Italia tra il ’43 e il ’45 rifletta il carattere ideologico assunto dalla seconda guerra mondiale, la quale fu essenzialmente uno scontro tra diverse concezioni del mondo, combattuta non più solo allo scopo di conquistare territori (come era avvenuto ancora durante la prima guerra mondiale), ma allo scopo di annientare definitivamente e per sempre l’ideologia avversaria. Peraltro, lo stesso coinvolgimento della popolazione civile nella guerra è un’altra caratteristica del secondo conflitto mondiale, che azzera il concetto di “fronte” e si configura come una vera e propria “guerra totale”.
Nel quadro generale dell’evoluzione della cinematografia sulla Resistenza, grazie all’impiego della categoria della guerra civile, La notte di San Lorenzo si presenta come un film dal contenuto innovativo e prorompente (peraltro, esso è uno dei pochi film sulla Resistenza realizzati negli anni ’80); tuttavia, per certi aspetti esso si inserisce in un percorso di lettura della Resistenza che si trova già in film precedenti: ne La lunga notte del ’4312, per esempio, compare, sebbene ancora non nella forma della categoria, la nozione di guerra civile; in Tiro al piccione13, poi, la Resistenza è vista da un “altro punto di vista”; in Uomini e no14, infine, emerge una visione di contrasto irriducibile tra il bene e il male. Tutti questi elementi (guerra civile, punto di vista “altro”, dualismo quasi manicheo Bene/Male) sono ripresi e sviluppati in maniera più ampia e articolata nel film dei Taviani, garantendo nel complesso una lettura sostanzialmente nuova del fenomeno resistenziale.
In relazione alla categoria di guerra civile, applicata alla Resistenza, La notte di San Lorenzo può essere letto in molteplici modi: sia come fonte storica, sia come agente di storia, sia come strumento di narrazione; in sintesi, può aiutare lo storico nella ricerca e nella comprensione del passato.
Innanzitutto, il film può essere impiegato come fonte storica perché è in rapporto con il presente che lo ha prodotto15, ma non solo: l’uscita del film nel 1982, infatti, anticipò un dibattito storiografico che avrebbe preso avvio solo tre anni dopo, quando Claudio Pavone, in un convegno tenutosi a Brescia, avrebbe introdotto per la prima volta la categoria di guerra civile in relazione agli scontri avvenuti nella penisola italiana tra il ’43 e il ’45. Gli studi di Pavone si sarebbero sintetizzati nel 1991 ne Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza16, in cui lo storico antifascista propose una nuova e più complessa lettura della Resistenza. Pavone vide nel fenomeno resistenziale la compresenza di tre guerre (patriottica, civile e di classe) e utilizzò la categoria di guerra civile come chiave di lettura del periodo ’43-’45. Benché oggetto di molte polemiche e controversie per tutto il corso degli anni ’90, secondo Pavone la categoria di guerra civile era legittima dal momento che metteva perfettamente in luce la nettezza dello scontro e la profonda divisione tra le due parti in lotta.
Il film è agente di storia perché è un mezzo attraverso cui si esprime la storia e perché contribuisce alla costruzione dell’immaginario di un’epoca: vedendo La notte di San Lorenzo, infatti, si ha l’impressione che la guerra civile tra partigiani e fascisti fosse vista come uno uno scontro tra buoni e cattivi, in cui non c’era spazio per dubbi, incertezze, prese di posizione poco chiare. Del resto, la scelta di presentare il film come una fiaba della Resistenza, era perfettamente consona a questo tipo di rappresentazione irriducibilmente dualistica del conflitto.
Il film, infine, è strumento di narrazione perché, attraverso la multiforme varietà di codici comunicativi (parola, immagine, colonna sonora), propria del linguaggio filmico, permette di rappresentare una vicenda realmente accaduta il 10 luglio del 1944, inserendola in una cornice fittizia.
Laura Bordoni